martedì 11 gennaio 2022

M. Bonifacci, 5H 2021-22: La distopia come moderno conte philosophique nella letteratura e nel cinema contemporanei

La letteratura, così come il cinema, sono sempre stati un mezzo non solo per descrivere la realtà che ci circonda, ma anche in qualche modo uno strumento per evadere da essa.

Perciò, i temi di fantasia e i racconti di mondi immaginari hanno sempre affascinato ed interessato i lettori e gli spettatori.

Il genere fantastico, però, ben si presta anche a fungere da pretesto per sviluppare una critica alla società o al governo contemporanei.

Proprio per questo, nel corso del XVIII secolo in Francia si sviluppa il nuovo genere letterario del conte philosophique

I philosophes francesi infatti, dietro a racconti fantastici del tutto lontani dalla verosimiglianza, nascondevano feroci polemiche verso la nobiltà, il fanatismo religioso, i regimi politici o filosofie al tempo diffuse, evitando così la pesante censura.  

L’esempio più celebre è sicuramente il Candide di Voltaire. 

Utilizzando la satira, che a sua volta si serve di tecniche come la caricatura, l’ironia e l’umorismo nero, l’autore riesce a divertire il lettore proponendo un’immagine esagerata della realtà, ma al tempo stesso si impegna a farlo riflettere sugli usi e i difetti della società a cui appartiene. 

In questo senso si può quindi sostenere che la distopia, genere letterario sviluppatosi nel Novecento, sia l’equivalente moderno del conte philosophique

Come il genere inaugurato nel Settecento francese, le distopie presentano un modello di realtà ipotetico, ambientato in un futuro più o meno lontano, in cui sono presenti regimi totalitaristi, manipolazioni scientifiche o tecnologiche e abusi di ogni tipo. 

La distopia è infatti l’opposto dell’utopia, e può essere anzi considerata la sua evoluzione. 

I racconti utopici, che condividono essenzialmente la stessa struttura delle distopie, sono tuttavia caratterizzati da uno slancio di positività. Le società descritte sono, per definizione, ideali e perfette, e pur non trovando riscontro nella realtà ed essendo pressoché impossibili da realizzare, costituiscono un fine a cui tendere. 

Le utopie si sono diffuse nel corso dei decenni a seguito delle entusiasmanti scoperte umane e ai progressi della scienza, dalla rivoluzione industriale, ai primi macchinari, fino alle moderne tecnologie, la corsa allo spazio e molti altri emozionanti traguardi. 

Le anti-utopie o distopie invece sono il frutto di un’osservazione critica che riguarda in particolare il XX secolo, scenario di orribili guerre, regimi totalitari, discriminazioni, problemi ambientali ed eccessi sia scientifici che tecnologici. 

Perciò al radioso e positivo avvenire descritto dalle utopie, si oppone la scura e cupa prospettiva proposta dalle distopie, che sono sì rappresentazioni di una realtà immaginaria del futuro, ma comunque prevedibile sulla base di tendenze del presente percepite come altamente pericolose, e che vogliono perciò mettere in guardia i lettori contro le minacce del progresso.

In realtà, il primo esempio di romanzo distopico può essere considerato I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift, che descrive con ironia pungente diverse società grottesche ed esagerate con lo scopo di criticare l’ambiente inglese del XVIII secolo. 

Le distopie successive, però, non si propongono più di satirizzare solamente sul presente, ma piuttosto di mostrare le conseguenze di quei difetti, tendenze o segnali di pericolo già visibili che vengono tuttavia ignorati.

I temi ricorrenti sono infatti le manipolazioni genetiche, l’eccessivo uso della tecnologia, i crescenti e sempre più spaventosi problemi climatici. 

Dei primi si occupa Il Mondo Nuovo di Huxley, che descrive un futuro in cui l’intera umanità è divisa per classi, la riproduzione umana avviene in serie come per gli oggetti in fabbrica e ogni tipo di interiorità o legame affettivo è severamente proibito.

Sui disastri ambientali è invece incentrato il romanzo di Arpaia Qualcosa là fuori, che presenta un futuro assai prossimo, in cui gli uomini - a causa del dissesto climatico - saranno costretti a scappare disperatamente alla ricerca di acqua e terreni fertili per vivere. 

Nel corso del Novecento questo tipo di racconti si è quindi sempre più distaccato dal puro genere di fantasia, descrivendo realtà distorte ma spaventosamente credibili. 

Altri celebri esempi sono 1984 di Orwell, Fahrenheit 451 di Bradbury, o anche i recenti e popolarissimi Hunger Games di Suzanne Collins. 

Lo scopo di questi romanzi non è dunque più quello di divertire il lettore, portandolo in un viaggio verso un lontano mondo immaginario, ma di responsabilizzarlo e di dargli consapevolezza a proposito delle conseguenze estreme dell’instancabile corsa al progresso. 


M. Bonifacci, 5H 2021-22: A. Hitchcock, La finestra sul cortile

Nella "Finestra sul cortile”, film del 1954, Alfred Hitchcock presenta una trama apparentemente molto semplice.





Il fotoreporter Jefferies è bloccato in casa per un'ultima settimana di convalescenza a causa di un'ingessatura alla gamba sinistra.

La settimana sembra interminabile, in una una calda estate durante la quale Jefferies passa il tempo affacciato alla finestra del suo appartamento ad osservare le abitudini dei vicini di casa. Fra questi, c'è una coppia di  giovani sposi, una bella e provocante ballerina, un pianista squattrinato, una coppia di coniugi con un cagnolino che la notte dormono in balcone, una donna affranta dalla solitudine e, soprattutto, un tranquillo uomo di mezza età che si prende cura della moglie malata. Quando questa improvvisamente scompare, Jefferies comincia a spiare sempre più ossessivamente i comportamenti dell'uomo, convinto che in quell'appartamento sia avvenuto un omicidio.

La sua improvvisata attività investigativa incontra tuttavia molti ostacoli: in primis l’impossibilità di muoversi, seguita dalla noncuranza dell’amico detective e dalle continue interruzioni della scorbutica ma amabile infermiera Stella, che gli rimprovera spesso il suo vizio definendolo “guardone”, e della bellissima compagna Lisa Freemont. Prototipo di donna ideale, apparentemente frivola, dedita ai vestiti e alla moda, la donna si rivela più grintosa e astuta di quanto ci si aspetterebbe, entrando in azione e partecipando attivamente alle indagini, tutto in nome di un amore per Jefferies e che questi non sembra affatto meritare.

Egli infatti non si cura affatto delle sue esplicite avances, rimanendo inamovibile nel suo proposito di non sposarsi. 

Perciò il film potrebbe apparire a un primo sguardo immorale, dopotutto la vicenda riguarda la vita di un guardone, pratica di per sé riprovevole, dedito per lavoro e per inclinazione ad un voyeurismo inguaribile. La stessa figura di Lisa è un'evidente espressione di piacere visivo, che richiama costantemente l’attenzione sia dello spettatore che del protagonista anche nei momenti meno opportuni.

In realtà per il regista l'avvincente trama gialla è solo la superficie, il pretesto di una complessa riflessione che affonda le sue radici nel piacere della visione e nelle passioni dello sguardo, dimostrando come il cinema sia la finestra voyeuristica per eccellenza, legato cioè ai desideri visivi.  

Con una singolare ironia, che domina tutto il film, Hitchcock gioca con i suoi personaggi, con la realtà e la finzione, incurante talvolta della verosimiglianza.

Il regista vuole sottolineare la distanza da ciò che Jeff guarda e ciò che accade realmente, facendo sì che lo spettatore si immedesimi nel povero fotografo immobile, assumendo la sua prospettiva grazie ai veloci giochi di inquadrature. 

L’immobilità del protagonista che traduce quella dello spettatore si infrange solo nel finale, quando l'assassino irrompe nella casa di Jefferies. Solo allora il fotoreporter partecipa in prima persona alla vicenda per difendersi dall’aggressione di Thorwald. 

La troppa intraprendenza e imprudenza del protagonista, però, non restano impunite, e cadendo dalla finestra a seguito della lotta con l’uomo, Jefferies si rompe anche l’altra gamba, prolungando ulteriormente il supplizio che stava giusto per finire.

Prevalgono quindi nettamente le azioni e le immagini sui dialoghi, e l’impressione generale è quella di un film leggero, privo di ogni elemento inutile: essenziale, equilibrato ed estremamente gradevole, anche e soprattutto per la magistrale bravura ed eleganza del cast, in cui spiccano James Stewart e Grace Kelly, che in quanto a classe e talento sono da sempre oggetto di ammirazione e invidia nel mondo del cinema. 


G. Cricca, 5H 2021-22: Vasco Rossi, Sally

 



Sally cammina per la strada senza  nemmeno  A

Guardare per terra  B

Sally è una donna che non ha più voglia  C

Di fare la guerra B

Sally ha patito troppo E

Sally ha già visto che cosa F

Ti può crollare addosso G

Sally è già stata punita H

Per ogni sua distrazione o debolezza I

Per ogni candida carezza I 

Tanto per non sentire l'amarezza  I


Senti che fuori piove

Senti che bel rumore


Sally cammina per la strada, sicura

Senza pensare a niente

Ormai guarda la gente

Con aria indifferente

Sono lontani quei momenti

Quando uno sguardo provocava turbamenti

Quando la vita era più facile

E si potevano mangiare anche le fragole

Perché la vita è un brivido che vola via

È tutto un equilibrio sopra la follia

Sopra la follia  (messaggio dell’autore)



Senti che fuori piove

Senti che bel rumore


Ma forse Sally è proprio questo il senso, il senso

Del tuo vagare

Forse davvero ci si deve sentire

Alla fine un po' male

Forse alla fine di questa triste storia

Qualcuno troverà il coraggio

Per affrontare i sensi di colpa

E cancellarli da questo viaggio

Per vivere davvero ogni momento

Con ogni suo turbamento

E come se fosse l'ultimo   (riflessione dell’autore)


Sally cammina per la strada, leggera

Ormai è sera

Si accendono le luci dei lampioni

Tutta la gente corre a casa davanti alle televisioni

Ed un pensiero le passa per la testa   

Forse la vita non è stata tutta persa  

Forse qualcosa s'è salvato

Forse davvero non è stato poi tutto sbagliato

Forse era giusto così

Forse, ma forse, ma sì  (pensiero di Sally)


Cosa vuoi che ti dica io?

Senti che bel rumore




Il brano scelto è la nota canzone Sally di Vasco Rossi. Contenuta nel disco Nessun pericolo per te, è uscita nel 1996 e nel 1999 è stata realizzata una cover da parte di Fiorella Mannoia. Il testo di grande carattere emotivo e di fama internazionale narra la storia di una donna di nome Sally che con grande forza è riuscita a superare le difficoltà della vita e che finalmente riesce a vivere spensierata, cercando la forza dentro di sé.

Il testo è suddiviso in 4 strofe libere, poiché sono composte da un numero diverso di versi, e vi è presente un ritornello, ripetuto per tre volte, contenente nella maggior parte dei casi le medesime parole. Tale ritornello è composto da due soli versi, che nelle prime due ripetizioni sono identici e settenari, a differenza dell’ultimo caso nel quale il primo verso cambia diventando novenario, e da frase affermativa si trasforma in domanda diretta. Nell’ultima strofa è presente un’anafora della parola forse

La musicalità del testo non dipende dalla presenza di rime, dato che come si può osservare nella prima strofa non è stato possibile individuare uno schema ben preciso, bensì dal forte legame tra musica e parole. Infatti, nel mentre si ascolta la canzone, è possibile notare come il suono del piano accompagni la voce del cantante. 

In tre strofe il cantante parla di Sally in terza persona: Sally cammina - Sally ha patito - Sally guarda; invece nella penultima si indirizza direttamente alla ragazza “Ma forse Sally è proprio il senso del tuo vagare”, come succede anche nei ritornelli “senti che fuori piove; Senti che bel rumore”. Nelle tre strofe nelle quali il cantante parla in terza persona della giovane si può notare come sia significativo il cambio di aggettivi usati per descrivere lo stato d’animo di Sally. Nella prima la ragazza è stanca, combattuta per le difficoltà della vita e amareggiata: dalle parole del cantante “cammina senza nemmeno guardare per terra”; “ è una donna che non ha più voglia di fare la guerra”. Anche nella musica si può ritrovare questo senso di nostalgia: il suono del pianoforte sovrasta quello della batteria, è incisivo e chiaro.

Nella seconda Sally non è più debole, ma per affrontare la vita dura e complicata decide di costruire un muro che la possa proteggere dal mondo che la circonda: guarda la gente con aria indifferente ed è sicura. In questa sicurezza però si nasconde la malinconia per quella felicità, quella vita più facile dove si potevano mangiare anche le fragole, che ormai ha perso e non sa se potrà mai ritrovare. In questo pezzo il suono della batteria si fa imponente, quasi a voler rappresentare la corazza che Sally ha indossato. In questo frangente si iniziano a sentire anche i violini, che rappresentano la forza interiore della ragazza, che non è morta e sta per rinascere.

Nell’ultima strofa invece qualcosa è cambiato, perché Sally cammina leggera e pensa che forse qualcosa s’è salvato e la vita non è tutta persa. Tutti gli strumenti suonano in armonia, nessuno prevale: le parole del cantante sono trasportate dal suono della batteria, del pianoforte e della chitarra elettrica. 

Se si ascolta un paio di volte la canzone è evidente come a partire dalla seconda strofa in poi la parte finale venga accentuata sia dal tono della voce che si fa più imponente sia dall’intensità del suono. Ciò accade perché è proprio negli ultimi versi che sono contenute delle parti fondamentali della canzone. Gli ultimi tre versi della seconda strofa racchiudono il messaggio che l’autore vuole condivide all’ascoltatore: la vita non è semplice, nasconde sempre delle insidie dietro l’angolo, ma è proprio questo suo bello; come dice Vasco è un equilibrio sopra la follia, ed è per questo che non bisogna arrendersi ma combattere. 

Come detto in precedenza, la terza strofa è quella più particolare poiché l’autore parla direttamente a Sally. Non la guarda più con gli occhi di un estraneo che osserva una donna che gli cammina davanti, bensì si comporta nei suoi confronti come se fosse suo amico. Il cantante riflette ad alta voce come se volesse far ragionare la sua amica: il senso del suo vagare sta proprio nell’affrontare questa faticosa vita, perché è  dalle difficoltà che Sally riuscirà a trovare il coraggio per vivere ogni momento, anche quello più difficile, come se fosse l’ultimo. Infine, negli ultimi versi dell’ultima strofa, non è più il cantante a parlare ma sono le parole della stessa Sally. Finalmente ha preso coraggio: si è resa conto che la vita non è facile e che sicuramente dovrà affrontare delle difficoltà; però ciò che ha passato l’ha aiutata a crescere e deve usare la forza ritrovata per rinascere e sbocciare.

La canzone si conclude con l’ultimo ritornello: in quelli precedenti in entrambi i versi il cantante parla alla ragazza come se le volesse risollevare il morale, come se cercasse di farle vedere anche il bello delle difficoltà, il lato positivo; l’ultimo invece è un dolce saluto<. il cantante amico ha fatto il suo lavoro, ha risollevato la bambina che era caduta e con una dolce frase, “senti che bel rumore”, le lascia la mano per farla camminare da sola. 


Sally è uno dei brani più amato dagli Italiani. Tutti portano nel cuore questa poesia cantata, perché grazie alla forza che essa dà all’ascoltatore, aiuta qualsiasi persona a ritrovare la motivazione e la grinta per andare avanti. Chiunque durante la sua vita si può trovare in difficoltà, perché come dice Vasco il pericolo è dietro l’angolo, è tutto un equilibrio sopra la follia. Però non dobbiamo mollare e spaventarci, ma cercare in noi stessi la forza di andare avanti. Possiamo circondarci di persone care che farebbero di tutto per strapparci un sorriso, ma dobbiamo ricordarci che la nostra felicità è dentro di noi e nessuno ce la potrà mai dare. Dobbiamo quindi svegliarci ogni mattina felici di vivere un’altra giornata e pronti a goderci ogni singolo istante, partendo da noi stessi.


G. Cricca, 5H 2021-22: La confessione di Mirra

Mirra è una tragedia di Vittorio Alfieri, ispirata alla lettura del X libro delle Metamorfosi di Ovidio. Ideata nel 1784, viene conclusa solo due anni più tardi, nel 1786. Attraverso una grande innovazione stilistica, Alfieri realizza una tragedia suddivisa in cinque atti, rispettando le tre unità aristoteliche.

Mirra, innamorata segretamente del padre Ciniro, si deve sposare con Pereo, ma tale avvenimento la turba. Durante i preparativi per la cerimonia la giovane sviene e il futuro marito, convinto di essere odiato dalla sposa, si uccide.

Nel brano La confessione di Mirra il padre interroga la figlia per fare luce sui sentimenti della ragazza, che alla fine confessa per la prima volta la passione che prova nei confronti del padre. Il brano si divide in tre scene (II, III, IV): nella prima l’insistenza del padre provoca nella ragazza un grande senso di colpa, che la travolge fino al punto di portarla alla confessione dei propri sentimenti. Il padre sembra quasi minacciare la figlia, come si può intendere dalla frase << omai per sempre perduto hai tu l'amor del padre>>. Presa dalla più grande frustrazione, ammette di amare colui che la sta tormentando di domande e dalla vergogna impugna la spada di Ciniro e si trafigge il corpo.

Nella terza scena compaiono anche Cecri, la madre, ed Euriclea, la nutrice. Il padre, rimasto senza parole dalla confessione della figlia, non vuol fare vedere alla moglie il corpo morente della giovane. Dalle parole dell’uomo le due donne comprendono il motivo di quel gesto estremo e ne rimangono senza parole. Presa dalla disperazione, Cecri lascia la scena, trascinata fuori da Ciniro. La scena conclusiva racchiude le ultime parole di Mirra. Rivolgendosi alla nutrice, le rimprovera il fatto di non averle dato prima una spada per uccidersi. Se lo avesse fatto, sarebbe morta innocente.

Nella scena iniziale si può osservare come il comportamento del padre cambi dopo essere venuto a conoscenza dei sentimenti della figlia. All’inizio del discorso si rivolge a Mirra con gentilezza e amore paterno, cercando di scoprire il nome dell’amato attraverso un tono calmo e delle argomentazioni:  cerca di provocare quasi pietà, << vedi ch’io torno e supplice e piangente>>; afferma che grazie alla sua condizione di re può trasformare in alta e grande anche una persona umile, qualora fosse di tale condizione l’amato della figlia; la invita a rivelare il nome offrendole un abbraccio caloroso << vieni fra le paterne braccia>>. Nonostante ciò, Mirra non cede alle richieste del padre e cerca di allontanarlo, << Deh! Lascia, te ne scongiuro per l’ultima volta, lasciami il piè ritrarre>>. Sconvolto dalla freddezza della figlia, Ciniro si sente offeso dal comportamento della ragazza che interpreta  le parole del padre <<… e farti del mio dolore gioco, ormai per sempre perduto hai tu l’amor del padre>> come una << fera orribil minaccia>>. Prova una forte repulsione per la giovane, colei che fino a qualche momento prima era stata teneramente amata, e con la rivelazione della giovane rimane impietrito dalla dura verità. Ciniro, << di spavento,…/ e d’orror pieno, e d’ira,… e di pietade>>, resta immobile davanti alla figlia, che si è trafitta il corpo con le sua spada. Egli non vuole toccare il suo corpo e non vuole sporcarsi con il sangue di quell’impensabile incesto.

Nella seconda scena si raggiunge la massima tensione drammatica, definita col termine Spannung, in particolare nella parte finale, quando Mirra, rivelato il segreto, chiede lei stessa al padre di non piangere per una figlia che non merita tali lacrime. Nelle scene successive i genitori di Mirra, inorriditi dalla sua verità, abbandonano il corpo morente e Ciniro riesce a convincere la moglie a non abbracciare per l’ultima volta il corpo della figlia. Tra i versi si possono individuare termini che appartengono al campo lessicale del disonore: infame orrendo amore, onta, dolore, empia.

La quarta scena si conclude con le ultime parole di Mirra << Quand’io … tel… chiesi, … darmi … allora, … Euriclea, dovevi il ferro … io moriva … innocente; … empia … ora muoio …>> Nel verso finale sono presenti due figure retoriche: il chiasmo tra innocente e empia e l’iperbato nella seconda parte del verso <<… empia … ora … muoio…>>, dal momento che il verbo dovrebbe trovarsi all’inizio della frase. La tragedia si chiude con la solitudine degli ultimi istanti della vita di Mirra, abbandonata da entrambi i genitori.



G. Cricca, 5H 2021-22: Werther: la libertà dell’arte e la libertà dell’amore

 Il brano è tratto da I dolori del giovane Werther  di Johann Wolfgang Goethe. Scrittore tedesco, nato nella seconda metà del Settecento, Goethe realizza questo romanzo epistolare nel quale le sfortunate vicende passionali del giovane protagonista rappresentano i tormenti dello stesso autore. Principale tra tutti i conflitti è la contrapposizione tra la sua appartenenza alla borghesia e il suo essere artista, che viene rappresentano nel romanzo attraverso l’impossibilità del protagonista Werther di sposare la ragazza da lui amata. Con l’opera Goethe dà vita ad un idealismo pessimista che apre la via al Romanticismo. 

Il passo è composto da due lettere, entrambe appartenenti al Libro Primo. Nella prima il protagonista racconta di aver realizzato un quadro osservando solamente la natura. Da ciò compie una riflessione sul rapporto che vi è tra regole della classe borghese e la natura, che stimola l’ispirazione artistica. Rivolgendosi ad un amico, <<Tu mi dirai… Amico mio…>>, afferma che è grazie alle regole che le persone diventano educate e buone, ma sono proprio tali norme a distruggere l’autenticità espressiva della natura e ad intralciare l’irruenza dell’ispirazione. Lo scrittore immagina che l’amico possa obiettare che le regole tagliano i ramoscelli troppo rigogliosi: con tale metafora Werther vuole fare riferimento alla società nella quale vive, dove la borghesia, rappresentata dalle regole, vuole eliminare gli artisti, rami troppo rigogliosi, per paura che la loro arte possa contrastare le imposizione della realtà settecentesca e diffondere messaggi non accettabili. Lo scrittore dice infatti che l’arte deve entrare in armonia con la natura e che l’espressione artistica non deve essere intralciata da ostacoli che possano fermare il fiume del genio.
La stessa arte è comparabile all’amore. Un uomo dimostra il proprio sentimento stando accanto alla sua donna sempre. Però è lo stesso uomo che viene sottoposto alle regole della società: diventerà sì un buon consigliere, ma l’amore puro finirà. Nella seconda parte della lettera infatti  Werther giudica la mentalità e il modo di vivere dei borghesi, chiamati filistei o placidi signori. Sono uomini egoisti, che mettono al primo posto la propria condizione sociale e i propri averi e come ultima ruota del carro l’amore per la propria donna. Infine, tormentato e amareggiato, si domanda come mai gli artisti, coloro che lasciamo scorrere il proprio fiume del genio, siano così pochi,
<< oh amici miei! Perché mai il fiume del genio prorompe così raramente e così raramente, con le sue acque in piena, investe e scuote le vostre anime meravigliate? >>.


Invece  la seconda lettera, quella del 30 luglio, descrive le emozioni e i pensieri del protagonista Werther a seguito dell’arrivo di Albert, il fidanzato di Lotte. In lui nascono sentimenti contraddittori rispetto al rivale: dapprima un sentimento di insofferenza e gelosia, che viene alimentato dalla causa principale del disagio del protagonista, ovvero il possesso che Albert ha di Lotte. Ma osservando il rivale, dotato di qualità eccellenti, << è un bravo e simpatico giovane , al quale non si può non voler bene>>, << è molto discreto>>, nascono nel ragazzo amareggiato una certa stima per il rivale, soprattutto per come tratta la ragazza, ma allo stesso tempo invidia e ostilità, poiché costui sembra privo di vizi. La frase <<è un bravo e simpatico giovane, al quale non si può non voler bene>> contiene una doppia negazione: se essa viene soppressa s’intende il significato vero che Werther vorrebbe esprimere, vale a dire che il giovane è amato da qualsiasi persona, poiché la sua personalità glielo consente.
Nella seconda parte della lettera, invece, il giovane è sopraffatto da una nuova forma di gioiosa ribellione: <<mi abbandono a una sfrenata allegria e invento ogni sorta di scherzi e le trovate più strane>>. Nonostante  la ragazza percepisca  il carattere inquietante di tale comportamento e gli chieda di smettere, << … la prego, non faccia più scene come quella di ieri sera!…>>, Werther non cessa, poiché divorato dalla sua travolgente passionalità. Lo scrittore usa due immagini antitetiche della natura, una riferita a Werther e l’altra alla coppia: i boschi e il giardino. Il significato è chiaro: il bosco è insidioso è pieno di alberi, all’interno del quale ci si può perdere poiché è quasi troppo frenetico, ed è riconducibile al personaggio di Werther; invece il giardino è un luogo sereno e curato, nel quale ci si può rilassare; è infatti riferito alla coppia dei due giovani, che vivono il loro amore in un pacato idillio.
Il romanzo scritto da Goethe è epistolare senza però le risposte dell’interlocutore. Infatti il protagonista si riferisce sempre all’amico Wilhelm, senza che l’altro possa rispondere. Infatti entrambe le lettere sono caratterizzate da una soggettività accentuata, che fa sì che il lettore entri in contatto con i tormenti del protagonista. Nella prima lettera il tono è pacato, poiché Werther argomenta le proprie riflessioni, nella seconda diventa più enfatico, dal momento che la sua razionalità è oscurata dalla passione non corrisposta.

domenica 9 gennaio 2022

A. Bernabei, 5H 2021-22: L’EMOZIONE NON HA VOCE DI CELENTANO

Ci sono tantissime canzoni italiane meravigliose che ascolto ripetutamente da quando sono nata, perciò è per me molto difficile sceglierne una. Tuttavia, quella in cui mi rivedo un po' di più è L’emozione non ha voce di Adriano Celentano, contenuta nell'album Io non so parlar d'amore, il cui titolo non è altro che la frase iniziale della suddetta canzone. E’ la dedica d’amore più bella di sempre: il brano parla di due persone che si amano alla follia, di quell’amore in grado di dare fuoco, di fare luce, di accendere ogni buio e coprire ogni ombra. O quello totalizzante da vivere con tutti noi stessi.

Il cantante confessa che nonostante faccia un’immensa fatica ad aprire il cuore e a esternare i suoi sentimenti, riesce comunque ad esprimere al meglio ciò che prova per la sua donna. Bellissima la frase “la mia anima si spande come musica d'estate, poi la voglia sai mi prende e si accende con i baci tuoi”. Io condivido totalmente questa visione: non è necessario dirsi sempre tutto, ma l’amore lo si dimostra con i gesti, con le accortezze, con l’atteggiamento.

L’amore in questione però, essendo così forte, a volte fa male. Così Adriano ci parla delle differenze caratteriali, delle divergenze nate tra due persone che si scontrano per quanto sono diverse. Nonostante litighino spesso, i due sono tuttavia indispensabili l’uno per l’altra: “siamo due legati dentro da un amore che ci dà la profonda convinzione che nessuno ci dividerà”.

Il protagonista si augura che il loro amore duri per sempre, mettendo come basi del rapporto l'amore, la sincerità e la fiducia. Finché tali elementi non saranno intaccati, infatti, si potrà serenamente guardare al futuro della loro vita.

La frase più conosciuta dell’intera canzone è forse questa: “Tra le mie braccia dormirai, serenamente, ed è importante questo sai, per sentirci finalmente noi”. Insomma, è quella che esprime più un senso di protezione, come fosse quasi un dovere prendersi cura della persona amata. Si tratta della forma più nobile di amore, quello che sa proteggere, quello che, ogni volta, ci fa stare bene, sentendoci pienamente noi.

Ogni strofa è un'affermazione poetica della visione dell'amore di Celentano. La musica è indubbiamente originale e suggerisce la dolcezza del testo anche più delle parole stesse, che comunque anche da sole trasmettono tanto, soprattutto per l'antitesi presente a metà canzone: “due caratteri diversi prendon fuoco facilmente, ma divisi siamo persi, ci sentiamo quasi niente”. Divisi, infatti, ci si sente totalmente persi.

Il messaggio è molto bello: l’amore completa. E’ importante che due persone siano diverse, solo così si potranno fondere assieme per dare all’altro quello che lui non ha. 
Questa canzone è insomma un testo meraviglioso, che fa davvero emozionare, accompagnato da bellissime sonorità, dal coro, ma soprattutto dalla voce unica e penetrante di Adriano.

E’ proprio vero: l’emozione non ha voce!

E. Mirri, 5H 2021-22: La distopia moderno conte philosophique

Nel corso della storia, sono tanti gli autori che con le loro opere hanno cercato di descrivere la società, proponendo anche messaggi morali. Questo “genere” ha visto nel tempo vari cambiamenti: dalle sue prime origini con le favole fino alla distopia moderna. Il punto in comune che caratterizza queste opere è lo stile, spesso velato o metaforico, che gli autori utilizzano per descrivere la società, dandone un quadro ed esprimendo il proprio giudizio. Nelle favole, per esempio, i vizi e le virtù umane vengono personificati sotto forma animale, mostrando attraverso episodi quotidiani insegnamenti etici e morali.

Lungo il corso del ‘700 alcuni autori hanno applicato il metodo delle favole a opere più elaborate e con significati più complessi a livello sociale. Questi presero il nome di contes philosophiques, ovvero “favole filosofiche”, come ad esempio il Candide di Voltaire. Nel romanzo del filosofo francese, infatti, i personaggi rappresentano le varie correnti filosofiche del ‘700, mettendone in luce gli aspetti fondamentali. Da qui scaturisce la critica dell’autore alla logica aristotelica e lo sviluppo della sua morale, che si concentra, in modo rivoluzionario, sull’individuo e sul suo rapporto con la società stessa. Candido, alla fine del libro è cambiato e ha raggiunto la consapevolezza del valore del suo lavoro sulla terra. La morale che Voltaire vuole presentare è che ognuno di noi deve applicare la propria operosità, dando il meglio di sé stesso: solo in questo modo si raggiungerà, grazie alla forza collettiva, uno stato di benessere.

Il conte philosophique raggiunse un grandissimo successo proprio per l’efficacia della sua scrittura, tanto da influenzare la letteratura e la cinematografia contemporanea. Infatti, anche oggi temi come questi sono di forte attualità, e sebbene siano strutturati attraverso modalità diverse, lo scopo è sempre il medesimo. Sicuramente, non possiamo più parlare di favole o racconti filosofici, ma il genere a loro forse più corrispondente è la distopia. Nel corso del ‘900, la società mondiale ha in effetti subito veri e propri stravolgimenti, sia a livello storico che tecnologico. Questo secolo è interessante soprattutto per la densità degli eventi che racchiude, talmente importanti e innovativi che hanno creato grande scalpore sociale. Molti autori si sono sentiti ispirati dal cambiamento che stavano vivendo, tanto da scrivere opere che descrivevano la loro visione e le loro prospettive future. Il romanzo distopico si pone dunque come una narrazione ambientata in un futuro molto lontano, dove vivere sembra impossibile e spaventoso, ma in realtà le vicende portano a riflettere sulla nostra realtà e a interpretare gli aspetti della società odierna. 

Ispirati probabilmente dallo sviluppo della tecnologia e dalle nuove strumentazioni, gli autori di romanzi distopici hanno riflettuto a lungo sull’individualità e sull’identità del singolo e su come essa possa essere messa a repentaglio dal controllo compulsivo sulla società. I temi più ricorrenti sono infatti il processo di "oggettificazione" dell’uomo pur di arrivare ad un apparente stato di perfezione, così come la perdita della libertà personale o dei sentimenti più autentici che caratterizzano il genere umano. 

Uno dei romanzi distopici più celebri è il Mondo Nuovo di Huxley, dove l’autore mette appunto in scena una società manipolata da forze superiori che gestiscono ogni singolo individuo. Nel Mondo Nuovo a rendere perfetta la vita stessa è la paradossale mancanza delle emozioni umane più belle: infatti gli abitanti non possono avere figli poiché ognuno di loro viene creato in laboratorio, e quindi non appartengono neanche ad un nucleo famigliare. Inoltre, sin dalla “nascita” questi esseri vengono adibiti a diversi ambiti, così da ricoprire il loro ruolo nella società fin dalla tenera età. Per non dar loro la possibilità di ribellarsi al sistema, i capi dello stato hanno cancellato ogni traccia della storia precedente al Mondo Nuovo: gli abitanti sanno solo che qualsiasi epoca antecedente era barbarica e molto meno sviluppata rispetto a quella moderna. Questo libro è stato influenzato probabilmente dall’arrivo della produzione di massa, che infatti è il criterio utilizzato per qualsiasi cosa nel Mondo Nuovo, e dai rischi che la crescita tecnologica può comportare per la libertà personale. 

A toccare lo stesso tema è anche un altro romanzo fondamentale per la cultura del ‘900, ovvero Fahrenheit 451 di Bradbury, che tratta le vicende di un giovane che nella sua città lavora come vigile del fuoco, ma invece che salvare la gente dalle fiamme dà fuoco ai libri che trova. Infatti in questa società è severamente vietata ogni forma di libro, perché essi vengono considerati pericolosi per il benessere del popolo. Ad essere favoriti e propagandati sono invece i programmi televisivi, chiaro metodo di manipolazione delle menti, che porta al consumo di massa e all'indifferenza nei sentimenti.

Il principio di questa letteratura, dunque, è sempre lo stesso: affrontare aspetti di attualità presentandoli sotto forma esagerata e paradossale, per prospettare al lettore l’analisi del presente. 

Con queste opere è interessante confrontare anche un film che, sia pure in maniera differente, pone l’attenzione sulle stesse questioni: La notte del giudizio di James De Monaco, del 2013. In questo thriller distopico, viene messo in scena il futuro metodo utilizzato dal governo statunitense per migliorare la società, tanto che i governatori degli Stati Uniti hanno raggiunto risultati eccezionali, ottenendo una realtà ottimale. Dietro a questa perfezione, però, c’è un duro lavoro da parte di ogni cittadino: per questo sono state proclamate 12 ore all’anno, durante le quali qualsiasi attività illegale diventa legale, anche l’omicidio. Questa scelta è vista come metodo di “sfogo” per i cittadini, che pieni di frustrazioni necessitano di allentare la tensione, ma anche per eliminare crudelmente i deboli. In queste ore vige la legge della natura e la guerra all’ultimo sangue. Il concetto è quindi contrapposto a quello dei libri: se nei romanzi la realtà era utopica, sebbene profondamente drammatica, nel film la distopia e l’assurdità sono rese estremamente esplicite. Il punto al quale voleva aspirare De Monaco è la consapevolezza di come l’uomo, preso dai suoi istinti animali, sia capace di perdere ogni forma di moralità, il che si ricollega perfettamente al concetto della disumanizzazione trattato dai romanzi. 



Per concludere, si può affrontare un altro aspetto che il conte philosophique e la distopia hanno in comune. In entrambi questi generi è fondamentale la giusta interpretazione del messaggio dell’autore, senza la quale le opere sarebbero prive di significato e molto monotone. Questo non è un particolare indifferente e costringe a ridurre i possibili lettori ideali, gli unici capaci di comprenderne il vero significato. Infatti il punto debole di questo genere è proprio la comprensibilità della metafora, poiché ne limita molto la divulgazione, anche quando l’opera è di grande efficacia.  


Y. Bosco, 5H 2021-22: Il labirinto che non c'è

Quando ero piccolo tutti parlavano tra una risata e l’altra di quel labirinto che, prima o poi, avremmo tutti attraversato. Ma io, vista la mia immaturità e la noia che mi assaliva nel sentirli parlare, mi ritiravo e mi mettevo a giocare da solo, in sala, con i miei pupazzi.

Me ne pento. Avrei dovuto ascoltare quelle loro parole, i loro consigli, analizzarli, insomma fare il possibile per facilitarmi la vita. Anche se non penso sarebbe servito a qualcosa: perché quel labirinto è fra i più intricati che ci siano e ci sono solo due modi per superarlo: o ti uccidi o avanzi. Il labirinto di cui parlo è buffo, non ha pareti o oggetti che blocchino la strada, ciò che vedi è il nulla e questo nulla mette angoscia. Non ci sono cartelli che ti aiutino ad attraversarlo e se ci fossero sarebbero lo stesso sbagliati, perché sei tu che devi scegliere dove andare. Le strade percorribili sono infinite e tutte giuste, portano ognuna a qualcosa. Pertanto, non ci sono vicoli ciechi o prove da superare. 
Ecco, fra tutti i labirinti che conosco è più simile ad un deserto. Con l’unica differenza che il caldo e il freddo lì non ci sono. Ciò che invade questo labirinto sono malinconia, vergogna, paura, timidezza e rabbia. Tutti sentimenti che ti consumano dentro finché non ti corrodono e ti ritrovi e piangere disperato, senza un apparente motivo.

Pertanto, fai un passo, poi un altro e ti sembra di avanzare, quando poi ti rendi conto di essere andato avanti di talmente poco che alla fine facevi prima a startene buono. Ma il punto è che lo devi attraversare, perché è così che funziona: al di là di quel labirinto c’è qualcosa per la quale sei disposto a fare di tutto, ma di cui non conosci realmente l’aspetto. Lo hai intravisto, lo hai udito ma mai a sufficienza da poter dire: sì lo conosco. Quel qualcosa altro non è che l’essere adulto.

Avanzare in quell’ignoto più disperato, alla ricerca di quel qualcosa ha veramente dell’eroico, perché fa male. Ciò che incontri sono solo miseri indizi di quel tuo essere adulto e tra questi, miseri insulti che mirano solo a distruggere la tua autostima. 
Il tuo stesso corpo si ribella a te ed inizia una metamorfosi assurda che neanche la bomba atomica avrebbe potuto creare: se sei donna ti si gonfia il petto manco fosse una mongolfiera, il maschio diventa terreno fertile per peli su tutto il viso. Ah, poi c’è il viso! Questo inizia una lenta e purulenta eruzione, per renderti irriconoscibile.

Infine, le sensazioni: il viaggio è talmente lungo e monotono che prima ancora che te ne renda conto sei cambiato anche dentro. Le cose che prima ti piacevano non ti appagano più, mentre altre nuove appaiono all’improvviso e non puoi controllarle. Queste cose nuove sono assurde e portano dipendenza a volte e altre volte rendono la vita talmente futile che vuoi solo farti fuori.

Ma sai che ti dico? Ne vale la pena. Perché ciò che hai dall’altra parte è cento volte più bello. E vuoi un consiglio? Magari l’avessi saputo prima. Mi sarei risparmiato trecentomila domande. Quando arrivi lì, il labirinto non cambia di molto, forse mai finirà, ma sai solo una cosa: essere adulto, che è la meta al di là del labirinto, significa riconoscere che, qualunque cosa sia accaduta, ora sta a te decidere che direzione dare alla tua vita, conscio dei tuoi limiti.

Sara Crispino, 5H 2021-22: La cavalla storna di Pascoli e il rapporto tra letteratura e giustizia

Nell'articolo Pascoli spiegato dai ragazzi,  pubblicato sul quotidiano “La Repubblica” del 2012, l’autrice Melania Mazzucco spiega come...