domenica 30 maggio 2021

Sara Pagnozzi, 3A 2020-21: Parce sepulto di D. Comastri Montanari

Il senatore Publio Aurelio Stazio si appresta a trascorrere una giornata di festa alle nozze di Lucilla, figlia del retore Arriano e della sua defunta moglie Calpurnia, cugina di Pomponia, con il discepolo prediletto di Arriano, Ottavio.
La gioia dei presenti si trasforma ben presto in tragedia: la sposa, infatti, viene ritrovata morta in una vasca di fanghi termali. Sembra che sia stata stroncata da un malore improvviso durante i preparativi.
C’è, però, qualcosa in questa strana disgrazia che non convince pienamente il senatore: la ragazza è morta puntando un dito verso l’alto, come a porgerlo all’anello nuziale di un immondo dio sotterraneo.
Pomponia, amica del senatore e madre adottiva di Lucilla, è convinta che non si sia trattato di un incidente e prega Aurelio di indagare per risalire al colpevole.
Il quadro della situazione appare fin da subito enigmatico: il senatore è ad esempio molto confuso per la presenza di Camilla, la sorella gemella di Lucilla. Le due gemelle sono pressoché identiche nell'aspetto, ma incredibilmente diverse nel carattere: l'una pia, onesta, sinceramente innamorata; l'altra cinica, impudente, avida di godere la vita senza rimorsi né rimpianti.
Camilla è sposata con Elio Corvino, il banchiere sospettato da Aurelio di usura e altre irregolarità, su cui comincerà a svolgere un’indagine parallela a quella sulla morte di Lucilla.
Quando altri due cadaveri compaiono sulla scena, Publio Aurelio Stazio sa che il suo fiuto per il crimine non l’ha ingannato.
Ispulla Camillina, madre del retore, viene trovata morta nel suo cubicolo, e, poco dopo, lo stesso Arriano viene ritrovato senza vita con il volto sereno, quasi stesse dormendo.
Il mistero si infittisce, quando sulla scena compaiono delle lettere minatorie indirizzate ad Arriano, che l’assassino deve aver scritto prima di uccidere le sue vittime.
Le indagini condotte da Aurelio, però, non lo portano lontano: Corvino, il marito di Camilla, ha un alibi per la morte di Lucilla, e Nicolao, il segretario del banchiere, per tutti e due i delitti. Ma chiunque, all’infuori di Ottavio e di Corvino, può aver scritto la lettera, così come chiunque, inclusa Irenea, l’insigne matematica, ha avuto la possibilità di avvelenare Arriano.
I maggiori sospetti ricadono su Camilla e Panezio, il direttore di scuola.
Dopo false prove, amori non corrisposti, truffe bancarie, uno scambio di gemelle, amuleti magici e malefici, si scopre che l’assassino è sempre stato sotto gli occhi di tutti: è Ottavio, figlio adottivo di Arriano e promesso sposo di Lucilla, il responsabile degli omicidi.

DESCRIZIONE DI 4 ASPETTI DELLA SOCIETÀ’ ROMANA 

Le terme 

A partire dal II secolo a.C., quando si diffuse l’abitudine del bagno quotidiano, si cominciarono a costruire strutture balneari pubbliche, chiamate balnea o thermae. 

L’ingresso in questi stabilimenti era generalmente gratuito e ciò consentiva la frequentazione anche ai cittadini non abbienti. 

Le terme aprivano a mezzogiorno e offrivano servizi di ogni genere, dalle palestre per gli esercizi ginnici ai trattamenti estetici, dalle mostre d’arte alla biblioteca: la maggior parte dei frequentatori, pur godendo a titolo gratuito della piscina, pagava a caro prezzo la custodia degli indumenti, i servigi dei bagnini e dei tensori, nonché il privilegio di accedere a una vasca individuale.

Erano ambienti sempre molto affollati, che costituivano il luogo d’incontro dell’umanità più varia: erano frequentati da chiunque, senza distinzione di età, di sesso e di condizione sociale.  

Di stabilimenti simili a Roma ce n’erano centinaia e nessuno, nemmeno chi godeva all’interno delle pareti domestiche di un ottimo impianto idraulico, avrebbe mai rinunciato a frequentarli. Alle terme si incontravano gli amici, si corteggiavano le signore, si stipulavano contratti, si tessevano persino congiure. 

Anche se talora uomini e donne potevano stare in promiscuità, tendenzialmente stavano separati o in zone diverse dello stabilimento, oppure erano previsti ingressi a orari differenti. 

Le matrone di buona famiglia manovravano con destrezza aste, manubri e giavellotti, eccellendo persino nella lotta libera o nel pancrazio. Nello spiazzo aperto retrostante l’edificio, gli uomini si misuravano nella lotta libera, nel salto in alto, nel lancio del giavellotto e del disco. Terminata la gara, si procedeva con la complessa operazione di raschiatura con lo strigile. 

Il principio fondamentale del bagno era l’alternanza caldo-freddo: il corpo prima veniva riscaldato, e poi temprato con l’acqua fredda. A questo scopo il bagnante dopo essersi cambiato nello spogliatoio (apodyterium), faceva il bagno di sudore (nel laconicum), il bagno d’acqua calda (nel calidarium), il bagno d’acqua tiepida (nel tepidarium), il bagno d’acqua fredda (frigidarium) e infine il massaggio con unguenti profumati.

I Romani dedicavano molto tempo alla cura del corpo; erano, infatti, dell’idea che l’aspetto esteriore della persona fosse strettamente legato a quello interiore: un corpo in ordine, che si presentava bene, era indice di un animo virtuoso, mentre la persona dissoluta finiva per avere un aspetto sgraziato. 


I culti misterici: il culto di Cibele

L’antica Roma fu un crocevia di genti e culture provenienti da tutto il mondo e per secoli da ogni parte del vasto impero giunsero non solo persone e merci, ma anche tradizioni, idee, credi religiosi. In particolare fu l’Oriente, con la sua millenaria storia, ad influenzare più di tutti il modello di vita romano, soprattutto in campo religioso: molte sono le divinità del pantheon derivate da quelle levantine. 

Il successo delle religioni orientali è legato alla natura stessa della religione romana, troppo austera e troppo poco mistica, alla povertà d’immaginazione del suo discorso sugli dei, che gli uomini possono conoscere poco e dai quali possono trarre scarse speranze di salvezza nell’aldilà. 

Le religioni orientali hanno saputo dare risposte a questi interrogativi: sono religioni esoteriche e salvifiche che offrono al fedele, attraverso l’iniziazione individuale ed il sacrificio di sé, l’incontro con le divinità e lo arricchiscono di una spiritualità che illumina la vita.

Molti romani, soprattutto i giovani, avevano smesso di credere nei Numi dell’Olimpo, distaccandosi dai costumi degli avi, e si rivolgevano ormai a una schiera di divinità e demoni stranieri. 

A Roma ebbe ad esempio un grande seguito il culto misterico di Cibele o Magna Mater dei Romani. Era originario della Troade, regione storica dell’Asia Minore. Il culto di Cibele venne introdotto a Roma intorno al 204 a.C., all’epoca della seconda guerra punica, quando il re Attalo di Pergamo donò a Roma la pietra nera di Pessinunte, un grande meteorite, un’immagine simbolica della dea che fu collocata sul colle Palatino. Cibele era un’antica divinità originaria dell’Anatolia, identificata con la Grande Madre, divinità della terra e protettrice dell’agricoltura. Il suo santuario, edificato sulla sommità del Palatino, era indicato con il nome di Magna Mater Deorum IdaeaIl culto della dea era officiato da sacerdoti eunuchi noti come Galloi o Galli. Dal momento che i cittadini romani erano esclusi da questo particolare sacerdozio, poiché la legge romana proibiva di sottoporre a castrazione uomini liberi, i Galli erano schiavi o provenienti dall’Oriente. 

I riti magico-culturali in onore della dea erano dunque contraddistinti da azioni cruente e sanguinarie. Tra il 15 e il 28 marzo aveva luogo la principale celebrazione connessa al rito di Cibele, il Sanguem. Durante i lunghi cortei salmodiami, e le cruente cerimonie i Gallae si privavano senza rimpianto della virilità, inebriati da lunghi, estenuanti digiuni e da droghe capaci di annullare ogni raziocinio: il giorno del sangue, così chiamavano gli adepti l'equinozio di primavera che li vedeva flagellarsi fino allo spasimo, lacerarsi con cocci taglienti, e spargere il rosso succo della vita sull'altare della dea, invocando la resurrezione dalla morte e il rifiorire del suolo.

Catullo scrisse dei versi in memoria del sacrificio di Attis, il giovane pastore che, colpito da una crisi di follia dopo aver tradito la Dea, si era evirato sotto un sacro pino, ottenendo di rimanere fedele per sempre all'amante divina. Da allora i sacerdoti dediti ai suoi misteri ne seguivano l'esempio, e celebravano la loro unione mistica con la Madre seppellendo il membro falciato da una scheggia di selce nel profondo della terra, per fecondarla.

Molti cittadini romani si sottoponevano a tutti i riti iniziatici, a parte la castrazione, che era severamente proibita dalla legge. 


La scuola a Roma

L’antico costume romano affidava al padre l’istruzione del figlio. Nei primi secoli della Repubblica gli insegnamenti erano impartiti solo ai maschi ed erano piuttosto rudimentali.

Pare che la prima scuola pubblica a Roma sia stata aperta verso la fine del III secolo a.C. da un liberto, Spurio Carvilio. A partire da questo periodo, a mano a mano che i contatti con la cultura greca divenivano sempre più stretti, la maggior parte dei padri affidava il figlio a un pedagogo, di solito un greco, o lo mandava a scuola, frequentata anche da fanciulle.  

Gli aristocratici e i grandi ricchi, soprattutto in età imperiale, erano restii a mandare i loro rampolli in una scuola pubblica, e preferivano assumere precettori disposti a trasferirsi con i bambini lontano dall’Urbe. 

Al contrario, gli homines novi, funzionari, commercianti, provinciali sognavano per i loro figli un avvenire sicuro nell’amministrazione imperiale. 

A Roma la scuola era sì pubblica, nel senso che tutti vi potevano accedere, ma privata, cioè pagata direttamente dal padre dello studente; lo Stato non si intrometteva nell’educazione dei giovani, considerata una funzione essenzialmente della famiglia.

Solo chi aveva i soldi riusciva ad arrivare ai massimi livelli. Così si perpetuava l’ineguaglianza; non quella fondata sul merito, ma quella che era frutto del denaro.  

L’ordine scolastico romano era suddiviso in tre gradi, paragonabili rispettivamente ai cicli elementari, medio e superiore: primo grado, insegnamento del maestro (litterator o ludi magister); secondo grado, insegnamento del professore di lettere (grammaticus); terzo grado, corso di perfezionamento, ossia la scuola del maestro di retorica, il rhetor, che addestrava i giovani nell'eloquenza prima che entrassero nella vita pubblica. 

All’inizio non c’erano edifici particolari adibiti alla trasmissione della cultura: gli allievi, estate e inverno, studiavano accoccolati all’aperto, sotto le pergulae e i portici, o nelle pubbliche piazze. Solo successivamente, le lezioni vennero svolte in ambienti chiusi, come nelle botteghe adibite ad aule. 

Gli insegnanti erano soprattutto schiavi colti e liberti, e mantenevano la disciplina a colpi di ferula; i metodi di studio, in gran parti affidati alla memoria, prevedevano la ripetizione a voce alta di una stessa frase e la sua copiatura sui pugillares, le tavolette di cera incise con lo stilo, che sostituivano il troppo costoso papiro.

L’orario scolastico era di sei ore: le lezioni cominciavano di buon mattino, venivano interrotte verso mezzogiorno e riprese nel pomeriggio.

L’anno scolastico cominciava a marzo: vi erano delle vacanze nei giorni festivi, ogni nove giorni e durante il periodo estivo.


Le prefiche

La prefica (dal latino praefica), nell’antica Roma, era una donna pagata per piangere e disperarsi ai funerali.

Nel corteo funebre, le prefiche precedevano il feretro stando dietro i portatori di fiaccola: con i capelli sciolti in segno di lutto, cantavano lamenti funebri e innalzavano lodi al morto, accompagnate da strumenti musicali, a volte graffiandosi la faccia e strappandosi ciocche di capelli. 


La clientela a Roma 

La struttura gentilizia della società arcaica romana spiega l’istituzione della clientela, in base alla quale il cliente, in genere un plebeo, si poneva sotto la protezione di un patronus patrizio, a cui era legato da precisi vincoli e obblighi. 

Quella del cliens era una particolare occupazione che contribuiva alla formazione del reddito, e non era collegata a una particolare classe sociale, ma per esserlo occorreva essere uomini liberi e non schiavi. 

Dunque, nell’antica Roma si chiamavano clientes le persone subordinate a un patrono. 

In cambio di protezione, assistenza giudiziaria e distribuzioni di cibo e denaro (sportula), i clientes assicuravano al patrono voti alle elezioni, facevano dei viaggi o delle particolari commissioni per lui e si arruolavano.

Il cliens non doveva semplicemente adulare qualcuno, ma perorare ogni sua causa, giusta o sbagliata che fosse, e perfino corrompere altre persone su ordine del patronus.

Il rapporto di clientela era ereditario, consacrato dalla pratica, dalla legge o dalle combinazioni.  

Sebbene i clientes non fossero del tutto liberi cittadini, si trovavano in un certo stato di protetta libertà. Il patrono dava al cliente una parte delle sue terre; però il possedimento era precario e poteva essere tolto in caso di infedeltà o inadempienza alle richieste.

L'importanza di un potente era commisurata alla clientela che aspettava nell’anticamera il patrono per la salutatio matutina. Il cliens per essere ricevuto doveva indossare la toga, essere pulito, coi capelli in ordine e sbarbato, e doveva chiamarlo dominus.  

Il cliente riceveva  le richieste dal patronus e cercava di ottenerne il favore con la captatio benevolentiae. Spesso otteneva la sportula, una borsa con una fornitura di vettovaglie (ma anche denaro) messe a sua disposizione dal patrizio. 

L'elargizione avveniva in ordine di importanza dei clienti, a prescindere da quando questi arrivavano dinanzi alla domus: pretori, tribuni, cavalieri, liberi, liberti.

Più numerosi erano i clientes che al mattino svegliavano il padrone, più prestigio costui dimostrava agli occhi della popolazione. Se qualche cliens avesse abbandonato il suo ruolo, anche il dominus avrebbe perso la reputazione.

Gli antichi romani, dal liberto al gran signore, si sentivano vincolati al rispetto (obsequium) nei confronti di quanti erano più potenti di loro. Il liberto nei confronti di chi lo aveva liberato (il patronus) e da cui continuava a dipendere, i clientes nei confronti del signore che (in quanto patronus) aveva l'obbligo di accoglierli in casa, di soccorrerli in caso di necessità e talvolta di invitarli a pranzo. 

Le donne generalmente non partecipavano a tale rituale; come clienti potevano a volte accompagnare il marito, che cercava una maggiore compassione da parte del signore. 


COMMENTO PERSONALE 


Si tratta di un romanzo molto avvincente, ricco di azione e di mistero, di colpi di scena e false piste. 

Ciò che ho apprezzato maggiormente di questo romanzo è stata la descrizione, minuziosa e accurata, del periodo storico in questione, ovvero l’età imperiale. 

La scrittrice include molti dettagli interessanti e sorprendenti che non appesantiscono il ritmo, ma al contrario consentono al lettore di ampliare le proprie conoscenze su alcuni aspetti della società romana. 

Efficace è stata la scelta dell’autrice di inserire nella narrazione le frequenti conversazioni che il senatore Publio Aurelio Stazio intrattiene con sé stesso, attraverso le quali veniamo a conoscenza dei suoi pensieri, dei suoi ragionamenti e dei progressi che compie nella ricerca della verità. In questo modo il lettore può indagare insieme ad Aurelio e cercare di scoprire il colpevole seguendone i ragionamenti.

Il finale è sorprendente: il colpevole è sempre stato al centro della scena, eppure nessuno avrebbe mai sospettato di lui. 

Infatti, siamo stati tutti distolti dalla verità da un mucchio di particolari che non avevano nulla a che fare con il delitto: le lettere, gli amuleti magici, la truffa bancaria e molto altro. 

Così, ogni volta che credevo di aver risolto il caso, appariva sulla scena un nuovo dettaglio, che faceva ricadere il mio sospetto su qualche altro indiziato. 

Soltanto nell’ultima scena, dopo aver completato tutti i tasselli del puzzle, sono riuscita a risalire al vero colpevole. 

La lettura di questo romanzo, diversamente da ciò che mi sarei aspettata, è stata piacevolissima; anzi, avrei preferito che fosse durata di più. 

Questa affermazione è per me alquanto sorprendente, dal momento che non sono mai stata un’amante dei libri e ne ho letti veramente pochi che mi abbiano tenuto con il fiato sospeso fino alla fine, come è riuscito a fare questo romanzo. 

Inoltre, non apprezzando particolarmente il genere giallo, temevo che il libro potesse risultare pesante e noioso, ma è stato tutto il contrario: sono stata coinvolta nella storia fin da subito; mi sembrava di essere il braccio destro del senatore Aurelio e di camminare con lui per le strade dell’Urbe, alla ricerca di prove. 

Ho apprezzato soprattutto il finale, non del tutto scontato, non banale, non frettoloso.  

Mi ha piacevolmente sorpreso il modo in cui la scrittrice è riuscita ad unire il tipico mistero del genere giallo con i tratti comici dei personaggi. 

La ricostruzione storica è magnifica e anche solo per questo vale la pena leggere il libro. 

In conclusione, il mio giudizio sul romanzo Parce Sepulto è ottimo








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