Calandrino, Bruno e Buffalmacco vanno giù per il torrente Mugnone alla ricerca dell’elitropia, la pietra che rende invisibili. Il primo, credendo di averla trovata, torna a casa carico di sassi. La moglie lo rimbrotta e allora il buon uomo, in collera, la picchia e ai suoi compagni racconta quel che essi sanno meglio di lui.
A Firenze visse, un tempo, un modesto pittore di nome Calandrino, un uomo ingenuo e sprovveduto, che passava la maggior parte del suo tempo insieme ad altri due pittori, Bruno e Buffalmacco.
A Firenze a quel tempo viveva anche un tal Maso del Saggio, un giovane estremamente piacevole, abile e astuto.
Avendo sentito parlare di quanto Calandrino fosse, fra l’altro, credulone, pensò di prendersi gioco di lui, architettando una beffa ai suoi danni o convincendolo dell’esistenza di qualcosa di impossibile.
Per caso, un giorno lo incontrò e, fingendo di non averlo visto, cominciò a parlare delle proprietà miracolose di certe pietre.
Calandrino non poté fare a meno di seguirli e curioso pensò di unirsi a loro per saperne di più, proprio come avrebbe voluto Maso.
Mentre quest’ultimo continuava a parlare dottamente, Calandrino gli domandò dove si trovassero pietre simili a quelle di cui stava parlando, dotate di così eccezionali poteri.
Maso rispose che la maggior parte di quelle pietre si trovava nel paese di Bengodi, ma che alcune anche lungo il torrente del Mugnone, vicino a Firenze.
Calandrino, come uno sciocco, vedendo Maso che diceva tutte quelle sciocchezze, credette che fosse tutto vero.
Maso disse anche che, tra tutte quelle pietre, la più potente era l’elitropia, una pietra dai poteri straordinari, che rendeva invisibile chiunque la portasse addosso.
Calandrino, avendo preso nota mentalmente di tutte quelle preziose informazioni, lasciò Maso e si propose di andare quanto prima in cerca dell’elitropia. Ma decise che a quell’impresa avrebbero dovuto partecipare anche Bruno e Buffalmacco.
Li raggiunse il prima possibile e raccontò loro tutto ciò che sapeva. I due, udendo ciò, fecero fatica a trattenere le risate. Finsero di meravigliarsi molto e approvarono il piano dell’amico.
Bruno disse, però, che quello non gli sembrava il momento opportuno di andare a cercare l’elitropia. Il sole era alto e, nella zona del Mugnone, picchiava duro, per cui le pietre che a quell’ora sembravano chiare, mentre la sera risultavano scure. E poi, essendo un giorno di lavoro, ci sarebbe stata molta gente, che li avrebbe visti e avrebbe potuto trovare prima di loro l’elitropia. Dunque, sarebbe stato meglio recarsi al Mugnone di mattina e in un giorno festivo.
Decisero quindi che la domenica seguente sarebbero andati tutti insieme a cercare la pietra miracolosa.
Non appena Calandrino si fu allontanato, Bruno e Buffalmacco si accordarono su quel che avrebbero dovuto fare per mandare a segno la loro beffa.
Quando fu finalmente domenica, i tre compagni si diressero insieme verso il Mugnone, dove, una volta giunti, si misero immediatamente a cercare l’elitropia.
Calandrino riempì ben presto di ciottoli neri il davanti del suo abito. Gli altri due, vedendolo così carico, decisero che era arrivato il momento di attuare il piano in precedenza stabilito. Perciò iniziarono a fingere di non vederlo più e a girarsi da una parte e l’altra.
Calandrino, vedendo ciò, immaginò che, nel cumulo di frammenti di roccia che si portava addosso, si trovasse anche la potente elitropia e che fossero proprio i suoi straordinari poteri a far sì che i due non lo vedessero più.
Tutto felice, senza dire nulla ai suoi compagni, pensò di tornare a casa. Vedendo che se ne stava andando, anche i due briganti decisero di andarsene.
Una volta giunti all’entrata della città, informarono le guardie della beffa che avevano organizzato. Le guardie finsero di non vedere Calandrino e lo lasciarono passare.
Il buon uomo arrivò senza fermarsi alla sua abitazione. E la sorte fu talmente favorevole a quella beffa che, durante il suo tragitto, nessuno gli rivolse la parola.
Sua moglie Tessa, quando lo vide, gli chiese preoccupata dove era finito. Udendo le parole della moglie e rendendosi conto di essere ben visibile, l’uomo, pieno di rabbia e di dolore, si mise a gridare e a inveire contro la donna e cominciò a prenderla a pugni e a calci.
Intanto Bruno e Buffalmacco, giunti alla porta di casa sua, udirono le grida di Tessa e allora chiamarono a gran voce l’amico.
Calandrino li invitò ad entrare in casa. Essi così fecero e videro da una parte la donna piena di lividi e dall’altra Calandrino. L’uomo spiegò ai due compagni il motivo di tutta quella sua rabbia: egli aveva trovato l’elitropia, ed era divenuto invisibile agli occhi degli altri ma, una volta rientrato nella sua abitazione, quel diavolo di sua moglie aveva fatto svanire tutti i poteri straordinari della pietra.
Bruno e Buffalmacco, mentre lo ascoltavano raccontare quel che sapevano meglio di lui, finsero di meravigliarsi, ma, a stento riuscivano a trattenere le risate.
Alla fine, i due riuscirono a far rappacificare Calandrino con la moglie e se ne andarono, lasciandolo abbacchiato e con la casa piena di ciottoli.
COMMENTO
La novella di Calandrino, raccontata durante l’ottava giornata del Decameron, ha per tema le beffe di tutti a tutti.
Il protagonista della novella è Calandrino, un uomo conosciuto per essere particolarmente sciocco e sprovveduto. Proprio a causa di questa sua ingenuità, viene beffato da due suoi compagni burloni, Bruno e Buffalmacco, che, al contrario di lui, dimostrano di essere uomini assennati e arguti.
Ciò che più sorprende in tutta questa vicenda, è che Calandrino neanche si accorge di essere stato ingannato e beffato, dimostrando in questo modo di non essere minimamente consapevole di ciò che accade intorno a lui. E proprio mentre lui vive in questo mondo tutto suo, la gente, che gli sta accanto, si prende gioco di lui e lo deride.
Calandrino non solo non comprende di essere stato beffato, ma arriva persino a credere che sia stata sua moglie a far svanire i poteri straordinari dell’elitropia, dimostrando ancora una volta la sua stoltezza.
Attraverso la novella di Calandrino, Boccaccio vuol far comprendere ai suoi lettori quanto sia importante essere dotati di intelligenza: per Boccaccio ciò che davvero conta nella vita, non è tanto la classe sociale a cui si appartiene, la quantità di denaro che si ha a disposizione o la religione a cui si crede, quanto le virtù che si posseggono: in particolare, l’ingegno e l’intelligenza, grazie alle quali un uomo può non essere succube di ciò che accade e avere consapevolezza della realtà.
Le novelle della sesta, della settima e dell’ottava giornata sono dedicate proprio all’elogio dell’intelligenza, che per Boccaccio fa parte di quei valori umani, che consentono di affrontare l’orrore, l’egoismo, la paura, l'ingiustizia e la crisi dei rapporti umani e sociali.
Boccaccio celebra anche la potenza della parola, attraverso la quale si riesce a trasformare ciò che non esiste in realtà. In particolare, nella novella, l’ideatore della beffa Muso, un giovane particolarmente abile e astuto, descrive il paese di Bengodi come un luogo fantastico, dove le montagne sono fatte di formaggio e i fiumi di vernaccia. E descrive questo luogo con una tale proprietà di linguaggio da farlo sembrare reale.
Muso riesce persino a far credere a Calandrino che esiste una pietra dalle proprietà miracolose, che rende invisibile, chiunque la possegga. Solo uno stolto, come Calandrino, potrebbe credere a un’assurdità del genere, senza rendersi conto dell’inganno.
Boccaccio ci insegna così che essere intelligenti non equivale a credere di esserlo, mentre quel che conta è esserlo realmente.
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